“Avvocato quanto mi costa intentare una causa?”
Dopo oltre 20 anni di esperienza posso affermare con certezza che questa è una delle domande più frequenti che i clienti mi rivolgono.
Purtroppo, invece, la risposta “Niente, se Lei ha ragione!” – che tanto mi pacerebbe poter pronunciare- non è mai uscita dalla mia bocca, nonostante la legge preveda il cd: PRINCIPIO DELLA SOCCOMBENZA
Cos’è questo principio?
Secondo il principio della soccombenza, chi si trova costretto ad adire l’Autorità giudiziaria per vedersi riconosciute (giudizialmente) le proprie ragioni (i propri diritti) che, diversamente, non è riuscito a sodisfare, ed ottiene una pronuncia a sé totalmente favorevole, dovrebbe anche ottenere una pronuncia accessoria a vedersi rimborsate tutte le spese legali (cd: spese di giustizia) sostenute per ottenere la giustizia tanto attesa.
Di converso, chi ha agito in giudizio (o ha resistito innanzi all’azione avviata dalla controparte) e ha visto la propria soccombenza (domanda rigettata, non accolta, respinta) all’esito della lite dovrebbe trovarsi condannato anche a rifondere all’altra parte (la parte vittoriosa) le spese che quest’ultima ha dovuto sostenere per difendersi dalla domanda avversaria ingiusta e infondata.
Però..c’è un però!
Partiamo dalla scaramanzia.
Penso che qualsiasi avvocato di buon senso e di buona esperienza non abbia mai dato per certo al 100% l’esito di un giudizio poiché in esso potrebbero intervenire numerosissime ed imprevedibili variabili che stravolgerebbero le più certe aspettative.
Inoltre c’è da sottolineare che non sempre il Giudice “liquida” le spese di giustizia in perfetta osservanza del sopraindicato principio della soccombenza; ricordiamo che difficilmente un contenzioso prende vita da situazione bianco/nero dove -da un parte- c’è un soggetto che ha tutte le ragione e -dall’altra- l’antagonista che ha tutti i torti.
Spesso colpe e responsabilità possono suddividersi -anche se non equamente- tra le parti del giudizio; e così la sentenza che definisce il giudizio potrà dare “più ragione” all’una (pur senza accogliere totalmente le domande da questa avanzate) e più torto all’altra (pur senza rigettare totalmente le domande da questa avanzate); e così le spese di lite vengono liquidate in ragione delle percentuale, del grado, di accoglimento e/o di rigetto dell’una e dell’altra domanda.
A ciò si aggiunga che le spese di lite vengono quantificate secondo un tariffario determinato in forza di legge, che prevede un minimo e un massimo; ecco allora che il Giudice, pur addossando interamente le spese alla parte soccombente, potrebbe valutare di “mitigare e limitare” gli importi ai minimi tariffari in ragione di alcuni parametri (difficoltà della materia, valore della controversia, incertezza e contrasti di Giurisprudenza pregressa, ecc ecc) e così alla parte vittoriosa verrebbe riconosciuto il diritto alla refusione di spese inferiori di quelle che ha in effetti versato al proprio avvocato.
Infine occorre tenere ben presente che una causa, una vertenza giudiziale, ha in genere una serie di costi che esulano dalla mera trattazione giudiziale della controversia; mi riferisco ad eventuali ricerche di documenti, consulenze tecniche di parte, alle trasferte, ed in genere a tutta l’attività svolta “al di fuori delle aue del tribunale” che rimarrà sempre e comunque a carico della parte che le ha sostenute.
Ecco perché, ogni avvocato di buon senso e di buona esperienza non potrà mai rispondere al proprio cliente che una causa giudiziale costerà “niente, se Lei ha ragione!”
Fortunatamente non mancano, però, i casi in cui il Cliente che ha effettivamente ragione riesce ad ottenere completa e totale soddisfazione (economica) dalla lite vedendosi riconosciuti integralmente capitale, interessi e spese, senza esclusione alcuna.
In questi casi, però, il problema diventa il “recupero del credito” e la solvibilità effettiva del debitore ; ma questa è un’altra storia…..
Alla prossima puntata!
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